Breve storia dello stato di diritto


1.1 il diritto
In linea generale, si può sostenere che la definizione di diritto si riferisca al complesso articolato di norme, sia intese come principi astratti e generici che come regolamenti specifici, utilizzate dalla società civile  per la risoluzione dei conflitti tra gli uomini; ma il diritto è anche, e soprattutto, ideazione e studio della norma stessa che lo compone, e trova la sua ragion d’essere nella perenne contesa in cui consiste l’esistenza umana all’interno della società.
Lo stato di diritto si definisce tale perché addotta, come suo principio cardine, la norma giuridica; ma la norma giuridica non è da intendersi solamente come una regola prescritta a cui attenersi, perché si possa parlare di stato di diritto, è necessario che questa sia parte integrante di un sistema complesso, un’organizzazione giuridica, volta all’ordinazione della società, nella quale vi siano apparati la cui funzione preliminare sia quella di ideare norme generali  per la civile convivenza, e apparati la cui funzione sia quella di applicare, di fronte a atti e fatti, e conflitti concreti, quelle stesse norme generali prodotte dall’apparato legislativo. Vista in quest’ottica, la norma è il vero “potere supremo”; ogni atto dello stato, e ogni atto dei cittadini, deve esserle conforme; in questo modo, lo Stato sottopone se stesso al rispetto delle norme giuridiche, sì che le leggi stesse siano garanti dei diritti fondamentali, e che il diritto, sia cardine e limite del potere dello stato.
A titolo esemplificativo è importante paragonare l'idea dello stato moderno occidentale, evoluzione e concretizzazione delle ideologie introdotte dal pensiero illuminista di Loke, Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Beccaria, con la struttura dello stato assolutistico delle antiche monarchie.

1.2  Il garantismo
Se il cardine dello stato di diritto è la norma giuridica, che sottopone lo stato al rispetto della stessa, bisogna anche dire che l'intento di vincolare il potere politico è dovuto alla necessità di “garantire” quei diritti e quelle libertà fondamentali, riconosciute a tutti i cittadini e che azzerano ogni privilegio di classe, da ogni abuso o arbitrio da parte di chi esercita il potere. La teoria del garantismo è parte integrante del liberalismo e fondamento dello stato di diritto: definisce, legittima e vincola il potere al rispetto dei fondamentali diritti dell'uomo; diritti che sono acquisiti dagli individui, direbbe probabilmente Rousseau1, attraverso una sorta di “contratto sociale”  che garantisce loro il diritto di cittadinanza.
La concezione garantista dell'ordinamento giuridico è particolarmente importante per l'affermazione dello stato di diritto perché opera principalmente in ambito giudiziario, ponendo un enorme limite al campo operativo del potere della magistratura, delle forze di polizia nonché delle forze militari dello stato, se quest' ultime sono impiegate in servizio permanente di ordine pubblico. All'interno della società, però, l'uomo non acquisisce solo diritti fondamentali volti alla tutela della propria libertà personale, ma acquisisce anche diritti fondamentali, uguali per tutti, relativi agli obblighi di prestazione a carico dei pubblici poteri dello stato; acquisisce, infine, diritti di proprietà posti a tutela della libertà negoziale e della proprietà privata.
Il garantismo, quindi, rappresenta quel complesso di regole o tecniche, adottate nell'ambito dello stato di diritto, a tutela della libertà personale, dei diritti sociali, e dei diritti di proprietà, elaborati dalla tradizione liberale, a garanzia dell'immunità personale dagli abusi polizieschi e giudiziari.

1.3  Gli ideali dell'età dei lumi

1.3.1  Premessa storica
Si è soliti identificare come “età dei lumi” quel movimento culturale dei primi del 700 che trae le sue origini dall'empirismo di Look, Berkeley e Hume  e che ebbe come centro di diffusione la Francia attraverso filosofi quali Voltaire, Montesquieu, Dedorot e Rousseau; tutti collaboratori dell' “Encyclopedie ou Dictionaire raissoné des sciences et des métiers”,  un'enciclopedia ragionata che intendeva porre l'attenzione sull'esaltazione della ragione e sulla negazione di ogni speculazione metafisica o religiosa. “ L'età dei lumi” e infatti così chiamata in contrapposizione all'oscurantismo dogmatico medioevale, e con essa, inizia convenzionalmente l'età moderna. ‹‹L' illuminismo – scrisse nel 1784 il filosofo Immanuel Kant – è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell' illuminismo››. E' così infatti che gli illuministi proponevano una nuova concezione della vita, laica e relativa, in cui ogni dottrina politica, filosofica, religiosa e dogmatica doveva essere messa in discussione, accolta o respinta in funzione del giudizio insindacabile che solo la ragione può emettere: essa diventava l'unico elemento in grado di indirizzare e regolare la vita umana, il buono e il giusto non potevano essere più garantiti né da Dio, né dalla chiesa, né dalle autorità tradizionali, ma diventavano elementi da ricercare all'interno dell'uomo stesso. Gli illuministi promulgavano un nuovo ordine sociale, basato sull' uguaglianza tra gli uomini in virtù della ragione: poiché essa è la facoltà specifica comune a tutti gli uomini, essi allora sono uguali l' uno al cospetto dell'altro e devono possedere gli stessi diritti nonché la libertà di esercitarli; ma, non di meno, un nuovo ordine sociale basato sul riconoscimento del diritto di scelta, in favore del popolo tutto, di stabilire il proprio governo.
L'illuminismo è anche, quindi, pensiero politico, e tale pensiero trova le sue radici nel giusnaturalismo e nel contrattualismo2 di fine seicento, inizio settecento. Entrambe le dottrine filosofiche e politiche si ispiravano a precise roccaforti di pensiero comuni:
Ciascun individuo possiede diritti naturali inalienabili  per il solo fatto di essere uomo, un “diritto naturale” che ogni individuo porta dentro sé.
Il potere dello stato nasce da una convenzione, un contratto sociale attraverso il quale gli uomini si sottopongono al rispetto delle leggi.
Il potere dello stato è limitato e sottoposto al giudizio e al consenso dei cittadini.
Il filosofo inglese John Loke (1632 – 1704), sosteneva che nel contratto che da origine alla società civile e politica, gli uomini non cedono interamente il potere allo stato, ma ne delegano solo una parte sufficiente affinché questi possa svolgere i sui compiti. Tale delega sarebbe stato necessario che fosse sottoposta al consenso dei cittadini, i quali avrebbero potuto ritirarla, qualora lo stato avesse violato le libertà individuali che scaturiscono dal diritto naturale; la divisione dei poteri dello stato, inoltre,  appariva  agli occhi di Loke un  elemento essenziale al fine di scongiurare la violazione di queste libertà. Una visione politica nuova che osteggiava lo stato monarchico assolutista, che si diffuse rapidamente nella borghesia europea e che avrebbe ispirato le tre grandi rivoluzioni borghesi dell'occidente: La rivoluzione francese, la rivoluzione americana, la rivoluzione industriale. Le tre rivoluzioni, infatti, modificarono drasticamente il corso della storia, concorsero all'affermazione di nuovi ideali illuministi e liberali, e posero fine, sia pure in parte,  ai dispotismi degli antichi regimi assolutistici.

1.3.2 Montesquieu, Voltaire e Rousseau
Partendo da una convinzione comune, che lo stato non fosse più da intendersi come espressione della volontà divina, ma come una dimensione convenzionale umana, legittimata e caratterizzata dalla manifestazione di volontà degli individui di aderirvi, il pensiero illuminista si diramò in diversi binari talvolta anche contrapposti.
Nel 1748, attraverso l'opera Lo spirito delle leggi, Charles-Louis de Secondant barone di Montesquieu (1689 – 1755) espresse la necessità che il potere del monarca fosse limitato da leggi costituzionali, come avveniva nel regime inglese, e che i poteri dello stato fossero separati l' uno dall' altro e non convergessero tutti nelle mani del Sovrano; lo scopo di Montesquieu era quello di fare in modo che i poteri dello stato si equilibrassero e si controllassero reciprocamente, nell'ottica di creare un'organizzazione politica capace di garantire le libertà e ostracizzare il dispotismo. L'opera di Montesquieu influenzò direttamente la popolazione borghese della Francia del Settecento, fu di ispirazione alla Rivoluzione francese e alla legislazione moderna. Lo spirito delle leggi rappresenta la roccaforte del pensiero liberale francese della seconda metà del Settecento; si tratta di un saggio che analizza le leggi di tutti i popoli dimostrando quanto esse dipendano dalle singole realtà economiche, geografiche, climatiche etc... lo studio approfondito delle forme di governo esistenti, e dei principi su cui si reggevano, portarono alla luce l' aspetto relativo della validità e della giustizia delle norme civili: non esistono leggi oggettivamente valide, ma esse devono essere adattate e approvate dal popolo a cui si dovranno applicare.
Ciò che fu definito assolutismo illuminato, al contrario, espresso dal francese François-Marie Arouet detto Voltaire (1694 - 1778),  si proponeva di mantenere nelle mani del sovrano il potere assoluto, il quale, illuminato dal filosofo, sarebbe stato capace di attuare quelle riforme politiche e sociali necessarie per il bene del popolo, vincendo le ostilità delle classi privilegiate. Voltaire condanna apertamente ogni speculazione metafisica della realtà, convinto che la conoscenza derivi dalla ragione e dall' esperienza umana; considera la religione come espressione di fanatismo, ma si batte, nel contempo, contro l' intolleranza religiosa, a favore della libertà individuale di professare la propria fede, a prescindere da quale essa sia. La sua opera è quindi volta ad affermare il principio di libertà e uguaglianza fra gli uomini e nutre una profonda fiducia nell' umanità e nel progresso scientifico e tecnologico.

Diverso è il discorso per quanto riguarda Jan-Jeaques Rousseau (1712-1778). La differenza fondamentale tra il giusnaturalismo e il contrattualismo, che  caratterizzarono l'individualismo3 settecentesco, risiedeva nell'interpretazione e nel ruolo dello stato in relazione a quei presunti “diritti naturali” che l'uomo possiede. Per i giusnaturalisti lo stato doveva sorgere in difesa degli stessi, e i poteri dello stato dovevano terminare là dove i diritti naturali dell'individuo sarebbero iniziati, proibendo ogni atto volto a lederli. Secondo i contrattualisti, il ruolo dello stato era rappresentato dal “contratto sociale”, la cui adesione comportava la rinuncia ai “diritti naturali”, per acquisirne altri generati dalla società civile.
Rousseau introduce una visione contrattualista che , per certi versi, ne rappresenta la sua negazione, dando inizio alla fase statalista4 che caratterizzò il liberalismo  dell' ottocento; egli ritiene che, allo stato di natura, gli uomini non possiedano affatto diritti, ma li acquisiscano solo attraverso il “contratto sociale”. Gli individui, sostiene Rousseau, diventano uguali fra loro solo ad opera della legge convenzionalmente accettata che attribuisce loro una libertà superiore, quella civile, e il diritto illimitato a tutto ciò che possiede.
E' necessario, a questo punto, proporsi due ragionamenti: -il primo: lo stato diventa “creatore” di diritti umani e di libertà, una libertà che rimane vincolata al diritto della comunità di definirla e vincolarla al bene comune; in realtà ‹‹solo l'obbedienza alla legge che ci si è prescritta è libertà››, in modo che solo in quanto cittadini di uno stato si è realmente liberi. -Il secondo:  la visione di Rousseau, anche sé difficilmente la sua idea fondamentale può essere utilizzata per comprendere affondo la struttura della comunità civile attuale, sta in gran parte alla base dello stato moderno; ha costituito le fondamenta della rivoluzione giacobina e, cosa ancor più importante, nella differenza pragmatica della concezione collettivistica dello stato, fu di ispirazione ai movimenti socialisti moderati e socialdemocratici sorti alla fine dell'ottocento. Rousseau, infatti, pone un freno a quell'ideale individualista, ben espresso dalle teorie economiche di Adam Smith, secondo cui il perseguimento assoluto dell'interesse soggettivo implicava il raggiungimento dell'interesse comune, esige la libertà individuale, ma vuole porre un limite alla ricchezza e al lusso, poiché, superato un certo limite, essa diventa strumento di sopraffazione e di prevaricazione (in appendice  l' Evoluzione dell'ordinamento sociale, causa di disuguaglianza se- condo Rousseau).


1.4  L' affermazione degli ideali liberali e la nascita dello stato di moderno:
All' interno dei nuovi fermenti culturali, politici e filosoco-sociali illuministi, parecchi sovrani europei si resero conto che tali ideologie “illuminate” sarebbero state capaci di sovvertire il sistema politico assolutista e, con esso, tutti i privilegi delle classi sociali aristocratiche. Al fronte di una borghesia sempre più in ascesa economica, ma priva di ogni rappresentanza politica, in cui il peso degli nuovi ideali era sempre più consistente, alcuni monarchi sentirono la necessità di attuare riforme istituzionali allo scopo di assecondare, sia pure parzialmente, le richieste del popolo; in tal senso, è bene ricordare il ruolo determinante che ebbero le società segrete dei liberi muratori, la massoneria5, che si costituirono a Londra nel 1717 e si diffusero rapidamente in tutta Europa, nella divulgazione delle idee illuministe e rivoluzionarie. Tuttavia, perché i nuovi principi si potessero affermare realmente, si dovrà passare attraverso le tre rivoluzioni avvenute in occidente, durante la seconda metà del settecento: la rivoluzione americana, la rivoluzione francese, la rivoluzione industriale inglese.

1.4.1  Le tre rivoluzioni borghesi dell'occidente                                                              
La rivoluzione americana rappresenta il principale e primo esempio della costituzione dello stato moderno, basato sui principi di democrazia, uguaglianza tra i cittadini, e impostata sulle nuove idee dei “Diritti degli uomini e dei popoli” (in appendice un estratto in lingua originale della dichiarazione   d'indipendenza del ). Le colonie americane, durante il settecento, vivevano una condizione di oppressione e autoritarismo da parte della monarchia della madre patria, che applicava dispoticamente pesanti tasse sul commercio, senza consentire ai coloni un' adeguata rappresentanza nella camera dei comuni. La disputa tra le colonie americane e la corona britannica culminò con una vera e propria guerra che iniziò nel 1773 per concludersi con la vittoria dei coloni e la successiva nascita degli Stati Uniti d' America.

Il fenomeno politicamente rivoluzio- nario più significativo d'Europa fu, di contro, la rivoluzione francese del 1789. La Francia del settecento si divideva tra due strati sociali ben separati: la classe dei nobili e dell' alto clero cattolico, e quella che era definita il “terzo stato”, costituita dalla borghesia che generava e produceva la maggior parte della ricchezza del paese, ma non godeva di nessun diritto specifico e nessuna rappresentanza politica. Oltretutto, la borghesia francese era sottoposta ad una oppressiva pressione fiscale, al fronte di un' amministrazione dello stato pessima che aveva indebitato enormemente il paese. Ispirata della filosofia politica di Montesquieu e J. Jaques Rousseau, il contrasto sociale culminò con una rivoluzione che durò per cinque anni e che ha, tutt'ora, come simbolo storico la presa della Bastiglia del 14 Luglio 1789. La rivoluzione pose fine alla monarchia e inaugurò uno scenario politico del tutto nuovo, fondato sui nuovi ideali di matrice illuminista.

Una rivoluzione totalmente differente, ma egual- mente importante perché determinerà il consolidamento del potere economico della borghesia, e la sua progressiva  ascesa politica, fu la rivoluzione industriale iniziata in Inghilterra a partire dalla metà del settecento. Non fu certo una rivoluzione in senso stretto, si attuò lentamente e senza violenze, ma sovvertì comunque l'ordine sociale e modificò le fonti della ricchezza economica.  Nacque il “capitalismo”; si andarono configurando le due classi sociali, i cui interessi opposti fecero sì che  entrassero da subito in conflitto, che hanno tipizzato lo stato moderno fino ad oggi: gli imprenditori e  la classe operaia. L'economia divenne una vera e propria scienza e le prime teorie economiche su cui si resse il capitalismo del settecento furono quelle del liberismo economico6 di Adam Smith.
Nel complesso, mentre la borghesia si accingeva a diventare sempre più protagonista della storia, la nobiltà, l' alto clero aristocratico e le loro antiche tradizioni, perdevano sempre più terreno sotto i loro piedi.

1.5   Le conseguenze delle rivoluzioni liberali

1.5.1  Gli Stati Uniti e l'ispirazione a Loke
La dichiarazione di indipendenza americana fu firmata il 4 Luglio 1776, scritta e redatta dalla commissione dei cinque, composta da Thomas Jeefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston e Roger Sherman. Il congresso di Philadelphia approvò l'indipendenza dalla corona il 2 Luglio e la carta fu trascritta e firmata dal politico John Hancock la sera del 4 Luglio. Nei giorni successivi cinquantacinque delegati delle tredici colonie appartenenti al congresso continentale vi apposero le loro firme. Il contenuto della dichiarazione si ispira evidentemente ai principi giusnaturalisti inaugurati dai filosofi europei.

1.5.2  Dalla rivoluzione francese a Napoleone Bonaparte
Come già si è detto, la rivoluzione francese rappresenta l'evento rivoluzionario e borghese di maggior rilievo nell'Europa di fine Settecento. La sua evoluzione è complessa, ma fondamentale per comprendere lo stato moderno repubblicano (la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, ispirata alla Dichiarazione d' indipendenza americana, ed emanata in seguito alla rivoluzione, ha influenzato diverse carte costituzionali e molti dei suoi principi sono confluiti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948).
La Francia, durante gli anni ottanta del Settecento, soffriva di un ristagno economico dovuto alla debole industrializzazione del paese e ad un'amministrazione statale inadeguata che aveva concentrato alti livelli di debito pubblico. La monarchia non riscuoteva il consenso di alcun ceto sociale, né da parte della borghesia, che desiderava avere un peso politico pari alla loro forza economica, né dai contadini sui quali gravava una condizione economica miserevole; la presa degli ideali illuministi sulle classi medio colte , inoltre, aveva perpetrato un diffuso desiderio di riforma dell'ordine sociale e del potere politico. L'imposizione fiscale era elevatissima, e quasi interamente a carico dell'operosa borghesia; la situazione precipitò quando il Re, Luigi XVI, cercò di imporre un' ulteriore tassa sulla terra. Per ottenere il consenso da parte degli ordini sociali in cui il paese era suddiviso, principalmente da parte del clero e della nobiltà, convocò gli stati generali7 del paese; si riunirono a Varsailles il 5 Maggio 1789. I deputati del Terzo Stato, che inevitabilmente rappresentavano la maggioranza dell' assemblea, chiesero che si votasse per singolo (ogni rappresentante un voto) e non per ordine; a seguito dell'indisponibilità del re e degli ordini privilegiati di fronte alla loro richiesta, si autoproclamarono Assemblea nazionale costituente giurando di non sciogliersi sino a che non fosse stata votata una costituzione; da lì in poi la situazione precipitò. Il 14 Luglio la Guardia Nazionale8 assaltò la Bastiglia assumendo il controllo di Parigi; a partire dal 20 Luglio una violenta rivolta contadina divampò in tutte le regioni; il 4 agosto fu dichiarata abolita la feudalità e, nello stesso mese, venne approvata la Dichiarazione dei diritti dell' uomo e del cittadino (vedi appendice).
Nel 1791 venne approvata la Costituzione; essa affermava una monarchia costituzionale che prevedeva un parlamento eletto a suffragio censitario9, la popolazione fu dipartita in cittadini attivi, che godevano dei diritti politici, e cittadini passivi, che godevano dei diritti civili ma non potevano votare ed essere eletti. Il paese fu diviso in ottantatré dipartimenti, la giustizia amministrata da tribunali elettivi; furono aboliti dazi e le dogane interne in favore del libero commercio; fu sancita la libertà negoziale sui beni e sui terreni e furono nazionalizzate, e in seguito poste in vendita, le proprietà  del clero.

Se da un lato per i moderati la rivoluzione poteva dirsi conclusa, dall' altro, crescevano sempre più gruppi radicali repubblicani, ispirati all'opera di Rousseau e al principio di sovranità popolare, che intendevano spingere la rivoluzione a livelli ben più estremi: la destituzione del sovrano, la formazione di una repubblica a suffragio universale e provvedimenti economici a favore della piccola borghesia e dei contadini. Il principale gruppo repubblicano rivoluzionario che si andò delineando fu quello dei Giacobini. Nel 1792 a seguito del caos economico addotto dalla guerra intrapresa contro l'Austria e dai timori di un'invasione austro-prussiana di Parigi, la popolazione, armata, prese d'assalto il palazzo reale, impose un nuovo governo e costrinse l' Assemblea legislativa a deporre Luigi XVI. Il Re fu arrestato e vennero indette nuove elezioni a suffragio universale per la formazione di una nuova Assemblea costituente. Questa assemblea deliberò la fine della monarchia e proclamò la nascita della repubblica, la quale, a causa della forte influenza e direzione politica che vi esercitò il movimento dei giacobini, prese il nome di repubblica giacobina. Le sorti della neo repubblica furono chiare sin dall'inizio; il filone politico giacobino dei montagnardi10, seguaci di Robespierre e Danton, pretesero di giustiziare il Re, cosa che avvenne il 21 Gennaio 1793. Nonostante le proteste dei girondini, fu nominato un comitato di salute pubblica a cui venne affidato il potere esecutivo. La nuova costituzione fu approvata il 24 Gennaio, ma, di fatto non fu mai applicata realmente. Il Comitato, guidato essenzialmente da Robespierre,  esercitò una vera e propria dittatura de facto. Sul piano politico vennero sospese le garanzie costituzionale e chiunque fosse sospettato di attività controrivoluzionaria venne posto sotto processo sommario in tribunali speciali e spesso giustiziato. Tra il Settembre del 1793 e il Luglio del 1794, la dittatura di Robespierre portò a migliaia di esecuzioni capitali. Il 27 Luglio 1794 Robespierre e altri dirigenti giacobini vennero arrestati e giustiziati per intervento della stessa Convenzione. Dopo la repubblica giacobina venne emanata una terza Costituzione che entrò in vigore nel 1795 riportando la rivoluzione entro i limiti posti nel 1791. Il governo fu messo nelle mani di un Direttorio, composto da cinque membri; è nel contesto della repubblica direttoriale che va inquadrata l'ascesa del generare còrso  Napoleone Bonaparte (1760-1821)
1.5.3  Napoleone e il code civil
Figlio d'una famiglia borghese, giovane generale dell' esercito, Napoleone si impose come unico capace di assicurare la sicurezza alla nazione e la continuità del governo del Direttorio. Nel Novembre del 1799 realizzò un colpo di stato assumendo il titolo di console e iniziando quel cammino che lo porterà ad autoproclamarsi imperatore e dominare sull' Italia e sull' Europa fino al 1812, anno dell' iniziò del suo declino.
Napoleone governò con autoritarismo e intolleranza, ma al contempo gettò le basi del diritto moderno attraverso l'emanazione del codice civile del 1804 (definito, contestualmente, codice napoleonico). Lo scopo principale del codice era quello di mettere ordine al caos delle vecchie leggi feudali, in parte ancora in vigore, e porre definitivamente fine alla tradizione giuridica dell' Ancien Régime. Il testo venne usato come modello  per molti successivi codici, ed è ancora oggi ricordato come il primo codice moderno della storia. Furono redatori incaricati, quattro importan- ti giuristi, tra cui il funzionario amministrativo Jan E. M. Portalis. Fu sottoposto all'attenzione del Consiglio di stato, discusso nel Tribunato, quindi inviato al parlamento per l'approvazione; entrò in vigore il 21 di Marzo 1804.
Il codice, ispirato alla tradizione giuridica franco-germanica, e a quella del diritto romano, rivendica e riconferma tutte le conquiste, in termini di diritti civili e politici, ottenute dalla Rivoluzione a partire dal 1791: l'uguaglianza fra i cittadini al cospetto della legge,  l' abolizione del feudalesimo, la tutela del diritto di proprietà; l' accoglienza della codificazione in ambito  giuridico fu in linea generale positiva, nella maggioranza della magistratura, si considerò il testo come il trionfo della ragione giuridica illuminista, capace di trasferire il “diritto naturale” all' interno dei codici dello stato.
Di particolare rilievo fu il contributo che diede il giurista Jan E. M. Portalis che si preoccupò principalmente di redigere il Titolo preliminare del codice; filosofo della commissione, conosceva i classici ed apprezzava le ideologie di Montesquieu, il cui pensiero si impose di riadattare alle contingenze del momento. Il suo intento personale era quello di ricucire le ferite provocate dalla rivoluzione tentando di conciliare il vecchio e il nuovo. Il progetto originario, prevedeva, in verità,  un libro preliminare ben articolato e complesso; venne tagliato prima della promulgazione del codice, ed assunse il nome di Titolo preliminare. Il libro integrale, ad ogni modo,  costituì un' importantissima fonte esegetica  per la scienza giuridica francese dell' ottocento, tanto ché, non si può parlare del code civil se non si analizza correttamente il discorso preliminare al codice di Jan Etienne Marie Portalis.



i sistemi giuridici di civil law e common law
2.1  Caratteristiche del codice napoleonico ed analogie con il diritto moderno italiano

2.1.1  Le code Napoléon
Il codice civile napoleonico si suddivide in 2281 articoli e la sua struttura è composta da un titolo preliminare e altri tre libri successivi ciascuno dei quali tratta un argomento specifico:
Titolo preliminare: Della pubblicazione degli effetti e della applicazione della legge in generale (Articoli da 1 a 6)
Dispone preventivamente i caratteri generali entro i quali la legge deve essere applicata e gli effetti che essa produce, definendo, in particolare il rapporto tra il giudice e il codice ( art. 4).
Libro primo: Sulle persone (Articoli dal 7 al 515)
Dispone i rapporti giuridici e i diritti della persona e della famiglia; disciplina lo stato civile, il matrimonio, il divorzio, la patria potestas, la filiazione (parificando nella successione i figli legittimi maschi alle figlie legittime  femmine e attribuendo ai figli naturali alcuni diritti) e, infine, la capacità d'agire.
Libro secondo: dei beni e della differente modificazione della proprietà (Articoli dal 516 al 710)
La disciplina dei beni rappresenta il nucleo tematico dell'intero codice civile. Il libro secondo disciplina il diritto alla proprietà, ritenuto imprescrittibile. Disciplina inoltre altri diritti reali e il possesso dei beni è identificato non tanto come un diritto, ma come uno stato di fatto.
Libro terzo: Dei differenti modi di acquisto della proprietà (Articoli dal 711 al 2281)
Nel terzo libro vengono disciplinati i rapporti obbligatori, la successione della proprietà privata, l' introduzione della legittima, la materia contrattuale, l'inviolabilità della volontà testamentaria.

2.1.2  Il codice napoleonico e il diritto moderno  (breve comparazione)                                
Come già evidenziato, il codice napoleonico costituisce un modello fondamentale per tutti i codici successivi apparsi in Europa; è il primo codice della storia a eliminare di ogni altra fonte del diritto che non provenga dalla legge dello stato. E' costituito il principio radicale per cui il diritto è prerogativa monopolistica dello stato e del legislatore, cancellando ogni visione pluri-ordinamentale delle fonti di produzione del diritto; segue lo schema proposto dalle teorie di Montesquieu, e costituisce l'ossatura primaria del diritto moderno di civil low; esso è espressione della volontà indiscussa del legislatore, e il giudice, assolve il ruolo essenziale e unico di “bocca della legge”. Il codice sancisce, inoltre, l'unità del soggetto di diritto, stabilendo, di fatto, l'eguaglianza di fronte alla legge di ogni ordine sociale; anche questo elemento costituisce le fondamenta di tutto il diritto moderno. Su di esso s'incardinerà tutta la stagione liberale europea e italiana, nella visione di una definitiva risoluzione giusnaturalista e illuminista all'interno del codice stesso. Il giudice non può sottrarsi alla sentenza, come stabilito dall' articolo 4 del Titolo preliminare, sia “sotto pretesto di silenzio” che sotto pretesto di “oscurità o difetto della legge”; pur ispirandosi al diritto naturale, egli rimane costantemente legato alla norma giuridica promulgata dal legislatore, non può pronunciarsi per disposizioni generali e il suo giudizio non costituisce fonte del diritto: la sentenza ha validità solo fra le parti. Il giudice ha l'obbligo di cogliere il genuino significato della norma e l'intento del legislatore ma, se la norma è letteralmente chiara e precisa non deve pretendere di penetrarne lo spirito, adducendo a soggettivismi che ne modificherebbero il significato originale (articolo. 5). Poiché è prevista l'impossibilità di poter prevedere ogni caso concreto, il giudice, solo in luogo di evidenti lacune, potrà ricorrere al diritto naturale e alle consuetudini.
Risulta evidente, vista la rigidità dell'ordinamento giuridico di civil law, l'ispirazione dello stato di diritto moderno ai principi sanciti nel codice napoleonico. Nell'ordinamento contemporaneo, infatti, è previsto che il giudice non possa sottrarsi dal pronunciare la sentenza, sono introdotte tre fasi interpretative (letterale, teleologica e analogica) a cui il giudice deve attenersi in fase deliberatoria; gli usi e consuetudini costituiscono fonte del diritto, all'interno di un sistema di leggi gerarchico che li pone, però, come ultima possibilità; non è previsto che le sentenze costituiscano precedenti aventi forza di legge: anche nel ordinamento giuridico moderno di civil law le sentenze sono vincolanti solo per le parti. Oltre alla struttura dell'ordinamento giuridico, si riscontrano analogie sulla disciplina della proprietà privata, sui rapporti obbligatori, sull'autonomia contrattuale e la libertà negoziale, sul diritto di famiglia e sui diritti della persona; la particolarità dell' influenza che il codice napoleonico ha esercitato sulla cultura giuridica moderna è che, se pure esso sia evidentemente ispirato a ideologie liberali, alcuni dei principi in esso contenuti sono stati accettati con la validità di un postulato persino dai movimenti socialisti di fine ottocento.
Il code civil entrò in vigore in tutta la penisola italiana, nei dipartimenti annessi di volta in volta all'impero Napoleonico, nonché nel Regno d'Italia e di Napoli, indipendenti dalla Francia solo formalmente. A seguito della Restaurazione, fu abrogato completamente all' interno dello Stato Pontificio e nel Regno di Sardegna, lasciato in vigore ma modificato nei contenuti relativi al divorzio, matrimonio civile, separazione personale, stato civile e comunione dei beni, in alcune parti d' Italia quali il Ducato di Parma e Piacenza, nel Ducato di Lucca e nel Regno delle due Sicilie. Eppure le modifiche apportate alla concezione delle leggi e del diritto operate nel ventennio successivo alla rivoluzione si dimostrarono irreversibili. Dopo i moti liberali del 1820-1821, la monarchia Sabauda fu costretta a rivedere le sue posizioni conservatrici dell' Antico regime e ad attuare una serie di riforme giuridiche secondo lo schema “codificatorio” francese, dando inizio al fallimento dell'opera della Restaurazione, che si concluderà con il definitivo trionfo della borghesia e dei valori liberali a partire dal 1848.
2.2.3  Il diritto moderno: civil law e common law
L' attività giudiziaria si fonda sulla natura ineluttabilmente ambigua, generale e astratta, della norma giuridica; un' ineluttabile realtà che si realizza con un' altrettanta inevitabile imprevedibilità di tutti gli atti e fatti concreti che possono costituire un illecito. L'attività giudiziaria, altresì, si concretizza attraverso le sentenze della magistratura, le quali, nel loro complesso, costituiscono la giurisprudenza. L'insieme della giurisprudenza costituisce il precedente giurisprudenziale su ogni singolo caso concreto sottoposto all' attenzione del giudice. Ma che valore ha questo precedente nello stato di diritto contemporaneo? La risposta a questa domanda definisce in modo esaustivo la differenza tra i due ordinamenti giuridici che la storia ha permesso si consolidassero nell' Europa occidentale e in America del nord: il civil law, derivante dal diritto romano e liberamente ispirato alla codificazione napoleonica, e il common law, derivante dalla tradizione giuridica anglosassone.
La rivoluzione liberale inglese rimase, per certi versi, separata da quella del resto d' Europa; il codice napoleonico non penetrò nei confini del Regno Unito e la tradizione giuridica britannica, che influenzò direttamente quella americana, proseguì per un percorso indipendente.
Anche se la monarchia inglese è stata spesso presa d' esempio in quanto monarchia costituzionale, è bene precisare che essa non possiede una vera e propria costituzione; i diritti a tutela dell' individuo, delle libertà civili e politiche, le disposizioni sulla separazione dei poteri dello stato e dell' ordi- namento giuridico stesso, sono il frutto di un insieme di statuti, trattati e  sentenze giuridiche emanate nel corso della storia dalle diverse corti locali e corti supreme del paese; ed è qui la chiave per comprendere la natura del precedente giudiziario all'interno del common law. Per molto tempo, nel corso del medioevo, le corti inglesi si sono trovate a dover risolvere controversie e questioni di diritto generale in assenza di norme giuridiche valide e specifiche, le loro sentenze sono state considerate abitualmente con il valore di legge e, nel corso di questo periodo, la giurisprudenza si è assunta l' onere di generare il diritto. Nei paesi di common law, infatti, il diritto è tradizionalmente e prevalentemente di origine e formazione giudiziaria. Le sentenze dei giudici costituiscono ciò che viene definito “precedente giudiziario”; esso a valore di legge, e il giudice, nel decidere sul caso a lui sottoposto ne è vincolato. Perciò, sono anche e soprattutto i giudici, a fianco dell'attività del legislatore, i cui interventi sono ben più rari rispetto  al sistema di civil law, a creare il diritto: e non lo creano come lo crea il legislatore di civil law, con norme generali e astratte, ma con regole ricavabili attraverso la “ratio decidendi” adottata per risolvere il singolo caso. Per sottrarsi all'autorità del precedente il giudice di common law è necessario che applichi la tecnica del distinguising; egli stabilesce che: nonostante il caso a lui sottoposto presenti apparenti analogie a un caso trattato in precedenza, e posto in evidenza dall' accusa o dalla difesa, esso sia in realtà sostanzialmente differente; questo sistema è lo strumento attraverso il quale il common law si evolve nel tempo. Un' altra particolarità che si è andata creando all' interno del common law e che lo differenzia particolarmente dal civil law, è costituita dalla separazione in sede processuale delle “questioni di diritto” dalle “questioni di fatto”. Le prime, che rappresentano il processo interpretativo delle leggi e dei codici, sono una prerogativa del giudice incaricato, le seconde, che rappresentano l' analisi e l' interpretazione dei fatti, secondo il principio generale del “ragionevole dubbio”11, sono prerogativa della giuria popolare, meticolosamente selezionata per ogni singolo caso.


Conclusioni

Le distanze fra civil law e common law tendono sempre più a ridursi. Nei paesi a diritto giudiziario, sta emergendo in modo sempre più presente un diritto di formazione legislativa (statutory law); nei paesi con un diritto a formazione legislativa i precedenti giurisprudenziali, che comunque mantengono il loro aspetto vincolante solo per le parti in causa,  tendono ad influenzare sempre più le decisioni dei giudici attraverso ciò che viene definito “efficacia persuasiva del precedente”. La giurisprudenza nel suo complesso è quindi un “archivio” storico, importante da conoscere, nell' esercizio della professione forense. I due sistemi, tuttavia, mantengono rilevanti differenze che li separano e li contraddistinguono: l' intervento del legislatore è considerato, nel common law, un fatto eccezionale, quasi un' invadenza politica in un mondo che, per sua natura, dovrebbe essere riservato ai tecnici del diritto. In questo contesto le norme della statutory law vengono applicate in modo restrittivo e inquadrate all'interno dei principi del jude made law.